Nella vecchia fattoria (parte 1)

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Da questo titolo nella vostra testa partirà la canzoncina. E in effetti, vorrei raccontare una situazione accaduta circa 5 anni fa.

Era estate, questo me lo ricordo bene! Ero in giro per Centri Commerciali, come era solito fare con la mia ex fidanzata. Mi arrivò una mail, ma non feci molto caso alla notifica. O meglio, decisi di non leggerla.
Però poco dopo, dovetti andare in bagno, così mentre ero in piedi con i pantaloni slacciati, presi in mano il telefono e guardai quella mail alquanto strana.

“Siamo Marco e Michela, questo è il nostro numero. Abbiamo letto il tuo annuncio”, fin lì nulla di strano, peccato che in calce c’era scritto “Azienda Agricola” e lì mi feci 2 domande. Ma soprattutto, dov’è questa azienda?
Nel frattempo che mi scervellavo perchè il CAP era di Novara, ma non capivo dove potesse essere, aprii Google e la trovai. Era poco fuori Novara, in una frazione. Preso dalla curiosità, ma anche dal tempo passato in bagno, mi riallacciai i pantaloni ed uscii con questo tarlo: che vogliono da me?

Facciamo compere e torniamo verso casa, quando ad un tratto ricevo un messaggio su whatsapp: “Siamo Marco e Michela, non so se hai ricevuto il nostro messaggio”. Nella mia testa pensai: “Ma quanta fretta hanno questi qui?”, così con la scusa di portare giù la pattumiera, mi segnai il numero e li chiamai.

Rispose un uomo, Marco, con accento tipico della mia zona, sbiascicava come un alcolizzato.
“Eh sì, abbiamo una fattoria, sarebbe molto eccitante vedere mia moglie trattata come una vacca”, ed in quel momento la mia testa vagava, cercando di essere sempre sul pezzo per non cadere nella volgarità.
Ci accordiamo per un giorno, e si chiude la chiamata, promettendoci di mandarci qualche foto interessante.

Passa qualche giorno, era una domenica se non ricordo male, e dopo il classico messaggio del “sto arrivando” partii, con la mia borsa sotto la ruota di scorta.

Arrivai davanti alla porta della fattoria, che era appunto una azienda agricola, in mezzo alle campagne novaresi, e l’odore di letame si sentiva lontano un miglio. Mi accoglie un cane, sembrava un meticcio stile pastore tedesco-labrador, da guardia. Non ho fatto in tempo ad uscire dall’auto che arriva ringhiando verso di me, così impaurito rientrai in auto aspettando che qualcuno facesse qualcosa.

Sentii un fischio, il cane si immobilizzò e si sedette, davanti all’auto. Mi raggiunse un uomo, una trentina d’anni, alza la mano come per dare un ordine al cane, che si allontana lasciandomi uscire dalla macchina.
Quest’uomo era Marco, appunto, sporco di terra, però molto educato. Mi parlò in 2 minuti della storia della fattoria e mi portò all’interno di casa, ristrutturata e profumata. Di quell’alloggio ho un ricordo quasi paradisiaco.

Devo ammetterlo, sentirlo al telefono, me lo aspettavo buzzurro, un po’ preistorico e molto “veneto” nei modi. Invece era un ragazzo a modo. Mi offrì un bicchiere di vino “fatto da loro” che io, ovviamente, rifiutai, mentre sentii lei che da sopra cercava di sistemarsi.

Lui mi lasciò da solo a coccolare il suo gatto rosso in cucina e sparì con lei a sistemarsi, non so cosa.

“Non so come devo chiamarti, ma vieni un attimo in sala che ti faccio conoscere mia moglie”. Io mi alzai dalla sedia, e arrivando in sala trovai la moglie e la sorella di lei, vestite in simil pelle, con una minigonna attillatissima, senza calze. Nella mia testa c’era già il film della giornata.
Il ventilatore a pale sul soffitto rompeva il silenzio di imbarazzo che c’era in quanto il marito appena sistemato, era in stile cow-boy con una giacca a frange e cappello marrone. Devo ammetterlo, ho trattenuto a fatica la risata.

Allora, per rompere il ghiaccio, mi protraggo verso le signore, più o meno 30 enni, e mi presento, osservando che la sorella guardava costantemente le mie mani e il mio pacco.

Io durante quel siparietto di “Cosa fate di bello nella vita? E tu? E io?”, cercai di prendere in mano la situazione guardando lui e facendo una domanda semplice semplice: “Ma in sostanza, che volete fare?”, lui in imbarazzo, abbassò la testa e mi disse: “Vorrei che facessi sentire mia moglie usata, è un suo desiderio e voglio esaudirlo”, allora la mia domanda uscì spontanea: “E della sorella che facciamo?”, lui mi guardò e si avvicinò alla cognata, si mise in ginocchio e mentre lui si genufletteva, lei si alzò in piedi e alzando il suo piede destro, glielo appoggiò sulla spalla di lui, che lentamente le leccava la scarpa, piena di fango. Devo ammettere che quella scena così “spontanea” mi aveva eccitato forse più di pensare la moglie piena di lividi.

Mi rivolsi alla cognata: “Switch?”, lei mi osservò, tirò giù la gamba dal suo slave e facendo un passo verso di me mi rispose, porgendomi i polsi: “Non vedo l’ora di dominare ed essere dominata come una puttana”. In quel preciso momento avrei voluto già essere in un dungeon, ma eravamo in una stanza, grossa 10×10 circa, con divani e tavoli. E non c’era nulla di più eccitante che immaginarmi quella situazione nuova, fuori di li.

Così chiesi a lui di portarmi fuori in mezzo alle sue vacche, farmi vedere cosa si potesse fare.
Aveva un ripostiglio per cavalli, pulito, dove lui mi raccontava che teneva i cuccioli in fase di allattamento. Sarà stato grande all’incirca 6×6 con ganci alle pareti e una grossa trave sul soffitto che lui, appunto, mi spiegava servisse per tenere ferma la cavalla qualora servisse.

Così entrammo nel ripostiglio, dove c’era una balla di fieno di quelle rettangolari, la spostai al centro usando i piedi e presi dalle mani di lui le chiavi, che chiudevano un grosso lucchetto. Feci entrare le signore e chiusi con chiavistello e lucchetto quel posto interessante, tra rumori di macchine per la mungitura e areazione.

Ordinai alle signore di andare sulla balla di fieno e intanto aprii la mia valigia, tirando fuori solo lo stretto necessario: Corde, fruste, Paddle e vibratori, tutti quelli che avevo.

Presi la moglie, le ordinai di alzarsi in piedi sulla balla di fieno e le legai i polsi in alto, in modo che potesse guardarmi, e le sfilai la minigonna. La sorella, mi osservava con attenzione, le lanciai una corda e le dissi: “Spoglialo e legalo”, “Ma io non sono capace”, “Tu immobilizzalo, ci pensiamo dopo…”

(to be continued)